In conversazione con Giovanna Facciolo

In conversazione con Giovanna Facciolo

Raccontaci la tua storia professionale, il modo in cui hai scelto la tua professione in teatro e in che cosa consiste il tuo attuale lavoro con riferimento, se vuoi, a uno o più progetti in particolare.

Ho intrapreso il lavoro nell’ambito del teatro ragazzi quasi casualmente. Nel mio percorso di studi era già presente una certa attenzione all’infanzia, io sono di Bologna e avevo scelto di studiare nella mia città Pedagogia, l’attuale Scienze della Formazione, per un mio interesse verso la psicologia, le relazioni e lo studio dell’ambiente. Nello stesso tempo c’erano interessi artistici e teatrali già molto radicati che avevo iniziato a coltivare, non specificamente declinati all’infanzia, ma più come formazione generale. Poi il caso, come succede spesso in queste situazioni, mi ha messo in contatto con una compagnia di teatro ragazzi: in quel periodo dovevo ancora finire gli studi ma stavo lavorando nelle scuole elementari come insegnante e avevo portato la mia classe a teatro e in quella occasione ho conosciuto la compagnia che aveva realizzato lo spettacolo: era il Teatro dell’Angolo, di Torino, gruppo storico del teatro ragazzi, a cui devo molto, fondato da Giovanni Moretti ed ora diventato un Teatro Stabile, centro di produzione importante e punto di riferimento nel tessuto nazionale e internazionale del settore (Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani). Da quel momento in poi, il teatro ragazzi è diventato la mia vita. Con l’allora Teatro dell’Angolo, ho imparato tutto quello che significa fare teatro per ragazzi. Cominciando la mia esperienza con loro, direttamente sul palco, come attrice, avevo anche la preziosa possibilità di partecipare a tutto il processo creativo, farne esperienza diretta, a tutto tondo. E questa è stata per me una formazione di grandissimo valore, a tutti i livelli, attorale, drammaturgico e registico, che ha segnato profondamente tutte le mie scelte successive. Sono state esperienze che mi hanno portato anche molto in giro, sia in Italia che all’estero, permettendomi di conoscere questo lavoro in tutte le sue sfumature e manifestazioni, entrando sempre più nel profondo del suo tessuto. Dopo una decina di anni di lavoro a Torino, una serie di vicissitudini e di eventi non programmati mi hanno fatto incontrare in ambito lavorativo quello che è il mio attuale compagno, Luigi Marsano. Lui era a Napoli e già lavorava nel settore, ma non in maniera autonoma, dipendeva da una grossa struttura, il Teatro Pubblico Campano, organizzando e facendo da referente per il teatro ragazzi. Quindi vita privata, interesse professionale ed esperienze passate mi hanno condotto qui a Napoli dove ormai risiedo da quasi 25 anni.

Attualmente curo la co-direzione artistica per l’associazione I Teatrini, compagnia di teatro per l’infanzia, e mi occupo di regia e drammaturgia. Quando ho iniziato, mi sono occupata anche dell’aspetto organizzativo, per me un settore abbastanza nuovo, e poi dopo qualche anno sono riuscita a dedicarmi solo all’aspetto artistico con la drammaturgia, la direzione artistica delle produzioni e successivamente delle rassegne che organizziamo su Napoli, scegliendo insieme a Luigi Marsano gli spettacoli da presentare al pubblico dei bambini e delle bambine. Abbiamo iniziato al Teatro Cinema La Perla e da qualche anno siamo al Teatro dei Piccoli che gestiamo assieme alla cooperativa Le Nuvole e a Progetto Sonora.

In tanti anni di lavoro abbiamo realizzato moltissimi progetti, ma uno a cui tengo particolarmente è quello che portiamo avanti da ormai ventidue anni all’Orto Botanico con le Fiabe di primavera e le Fiabe d’autunno, parte della programmazione de La Scena Sensibile, la nostra rassegna di teatro per le nuove generazioni. Si tratta di un progetto che mi appassiona, un teatro all’aperto e itinerante capace di coinvolgere tutti i sensi e creare delle atmosfere molto belle che magari l’ambiente del teatro tradizionale non ti consente. Per me rappresenta una dimensione bellissima e insostituibile che purtroppo in questo periodo mi manca tantissimo perché l’Orto Botanico è ormai chiuso dal primo lockdown, lo scorso anno non ha aperto neanche d’estate e quindi siamo un po’ fermi in questo senso. Per il futuro riprenderemo le attività alla Pineta dei Piccoli, per poter fare qualcosa all’aperto e poi si vedrà.

Nella tua esperienza hai restituito una una storia che abbiamo letto spesso nelle risposte alle nostre domande, ovvero che in molti casi alle scelte lavorative sono intrecciate scelte familiari o scelte di coppia. C’è stato un momento in cui essere donna ti è sembrato creasse una difficoltà o che ti portasse a fare delle scelte obbligate?

Sicuramente questo tipo di lavoro autonomo, in cui devi dare un sacco di energie, in cui devi ricoprire più funzioni, condiziona necessariamente le scelte della vita privata. Almeno nel mio caso, il lavoro ha condizionato fortemente le mie scelte di vita legate all’essere donna e nello stesso tempo le richieste della vita privata in quanto donna hanno condizionato poi il mio lavoro. È un qualcosa che emerge spesso e, come ci restituiscono molte indagini e statistiche, possiamo osservarlo nella nostra vita di tutti i giorni. Le richieste che vengono fatte alle donne sono sempre molto alte, è a loro che è affidato soprattutto l’aspetto della cura di altre persone, che sia in ambito familiare o all’interno dell’ambiente di lavoro. Ad esempio la cura che il mio lavoro mi richiede rispetto alle relazioni è altissima, nel rapporto con gli attori e soprattutto nel rapporto con le attrici, sono davvero tante le donne che collaborano con noi e che partecipano ai corsi di teatro o ai provini. Questa forte presenza femminile vuol dire sicuramente qualcosa, intanto che nelle donne c’è un bisogno di esprimersi attraverso la creatività molto alto rispetto al pragmatismo, al senso di affermazione che hanno gli uomini in certi casi, e poi che questo interesse delle donne verso un settore che, detto molto banalmente, si rivolge ai bambini, riflette molto la situazione delle scuole in Italia in cui c’è una quasi totalità di figure educative femminili.

L’attenzione all’infanzia la vedo molto legata alle donne e non sempre capita con gli uomini. Anche qui però, allargando un po’ di più lo sguardo, le figure femminili sono carenti nei ruoli decisionali o direttivi, oppure nei ruoli più di spicco, mentre sono tante coloro che lavorano in ambito organizzativo, negli uffici. Se faccio mente locale, non solo a Napoli ma in tutta Italia, in effetti dietro a un artista c’è un lavoro organizzativo sempre femminile, e non succede quasi mai il contrario, e spesso queste figure femminili sono legate personalmente al soggetto che promuovono, magari sono compagne di vita, una cosa che accade tantissimo nel nostro settore. Da questo punto di vista anche io rientro in questa categoria lavorando fianco a fianco con il mio compagno, ma forse rappresento un caso un po’ a parte, nel senso che nella nostra realtà lavorativa Luigi Marsano ricopre un ruolo organizzativo fondamentale. Inizialmente, quando abbiamo deciso di dedicarci a questo lavoro in maniera autonoma, anche io mi sono occupata della parte organizzativa, qualcosa di molto nuovo per me, per supportare la marea di lavoro che dovevamo fronteggiare, poi con il tempo mi sono dedicata sempre di più alla parte artistica che adesso è la mia principale occupazione. Non succede quasi mai una cosa del genere, poi è chiaro che ci possono essere eccezioni, ma ribadisco, ci sono molti molti casi che conosco e che mi vengono in mente in cui la parte organizzativa è sostenuta dalla figura femminile.

In che modo tutto questo ha influenzato il tuo punto di vista attuale sul teatro e la tua professione?

L’essere donna ha determinato una delle scelte fondamentali di vita, ad esempio io non ho figli, ma al di là dell’essere contemplati o meno come indole, devo dire che ho riflettuto sempre sul fatto che sarebbe stato molto complicato in una situazione lavorativa del genere, dove devi veramente dare tutto, soprattutto se vivi in un luogo dove ci sono pochi servizi come accade in questa città. Insomma, la mancanza di servizi può condizionare certe scelte e creare una differenza rispetto ad altre zone d’Italia. Una donna che fa questo lavoro a Napoli, deve misurarsi molto con le reali possibilità di poter poi gestire una situazione complessa e che richiede un grande impegno. Senza false velleità penso che la donna sia cambiata nel tempo, ci sono state delle evoluzioni enormi, però ancora sussistono condizionamenti molto forti che inevitabilmente influenzano le scelte che una donna si trova a fare. Anche in questo caso si apre un discorso di trasversalità sociale, molte scelte dipendono anche dall’ambiente in cui ci si trova, non è solo un discorso di identità e quindi di scelte individuali, riguarda anche i contesti sociali che ti possono permettere più o meno di agire abbastanza liberamente.

E poi ritorna il discorso che la cura delle persone della famiglia ricade spesso, quasi sempre direi, sull’elemento femminile, penso anche agli anziani se non direttamente ai figli, credo siano cose che si influenzino molto a vicenda, moltissimo, ecco perché probabilmente ci sono molte più presenze femminili nell’organizzazione, un settore più gestibile in determinate fasce orarie, quindi più compatibile con delle scelte di vita privata che richiedono una pianificazione molto più precisa.

Credo che ci siano molte donne in questo settore un po’ perché per indole si adattano sempre maggiormente alle esigenze lavorative, nello specifico del teatro ragazzi, come ho già detto la presenza femminile è alta, soprattutto tra le attrici e quello che noto è che, tra gli attori giovani, i ragazzi sono molto più orientati a una carriera, a un’affermazione, a una visibilità di se stessi molto alta, per cui questo lavoro è vissuto come una occupazione momentanea per poi proseguire su altre strade. Anche nelle donne c’è un senso di affermazione, si inizia a fare teatro perché chiaramente c’è un desiderio di visibilità, però poi dopo un po’ capiscono che quello che hanno, l’occasione che hanno avuto può diventare qualcosa di più stabile o può essere portatrice di cose belle, al di là dell’affermazione. Credo che questa sia una consapevolezza che matura più nelle nelle donne che negli uomini.

Con I Teatrini lavoriamo ormai stabilmente con tantissime donne e qualche uomo, anche perché devo dire che ci sono più abilità in generale tra le donne, possono interpretare ruoli che si potrebbero ipotizzare tradizionalmente maschili, invece a me piace molto giocare con queste possibilità di scambiare i ruoli, la prontezza con cui vengono raccolte delle cose tra le donne è molto forte. Io mi trovo molto bene e mi piace molto lavorare con loro, ci sono risposte molto più alte, più elastiche e trovo in loro una bella forza, impegno e grande caparbietà, e di questo sono molto contenta.

Hai parlato di servizi che mancano, inevitabilmente anche il teatro ragazzi è diventato un servizio perché si è integrato tantissimo nella scuola e nelle attività formative, secondo te, in base alla tua esperienza, possiamo dire che il teatro ragazzi è andato a supplire o a supportare le esigenze pedagogiche? Inevitabilmente notiamo che teatro ragazzi ha un ruolo importante in questo sistema di servizi dedicati ai bambini, alla famiglia e ricopre anche un ruolo strategico sul territorio, pensiamo anche a come è collocato il Teatro dei Piccoli…

Senza alcun dubbio il teatro ragazzi rappresenta un’occasione di moltiplicazione di opportunità, di formazione e possiamo definirlo come un servizio che si offre, è vero, perché è importante che i bambini e le bambine abbiano dei canali di accesso alla loro formazione della persona.

Molto spesso però il teatro dedicato ai bambini viene vissuto più in senso pedagogico-didattico, e questa cosa mi lascia sempre con l’amaro in bocca. C’è una tendenza da parte degli insegnanti a vivere il teatro, che sia la visione di uno spettacolo o un percorso di formazione laboratoriale all’interno della scuola, come qualcosa legato principalmente a un obiettivo cognitivo, a supporto di un processo didattico. Questa visione è abbastanza riduttiva rispetto all’esperienza in sé che va al di là della formazione. Spesso c’è da parte della scuola il bisogno di unire la formazione a obiettivi cognitivi molto specifici, quantificabili e misurabili, mentre la formazione che vorrebbe dare il teatro è una formazione globale dell’individuo, connessa al diritto di ricevere possibilità di accesso all’arte, al bello, a linguaggi paralleli o altri che portano allo sviluppo di un immaginario e di quella parte di sé che solitamente è un po’ sacrificata nella scuola. Secondo me il teatro non ha mai trovato una giusta collocazione che restituisca a pieno la sua natura, il teatro è sempre un po’ strumentalizzato in funzione di qualcosa da imparare, di una tecnica da apprendere.

Dovrebbe invece essere un diritto accessibile a tutti i cittadini, come l’accesso ai musei, all’arte. Creare situazioni che avvicinino i bambini alla fruizione del bello, alla condivisione di un’esperienza è importantissimo. In questo senso il teatro ragazzi è di certo un servizio che coinvolge tutta la famiglia. Ci sono tante valenze nel fare teatro ragazzi in generale che secondo me a volte snaturano un po’ le opportunità che potrebbe davvero offrire, come lasciarsi anche andare in un territorio dove non c’è bisogno di una misurazione, un territorio di libertà, un altrove. Con l’esperienza teatrale entriamo sempre in un altrove e mettersi a misurare questo luogo altro con i criteri del quotidiano diventa un po’ limitativo. Ecco questa è una mia speranza, che ci si possa sempre più dedicare a un territorio di “incertezza”, anche se questa parola spaventa sempre molto. Abbiamo bisogno di certezze e le chiediamo sempre anche per i nostri bambini, ma il teatro è un territorio dove l’incertezza lascia spazio a degli aspetti che non possono essere espressi liberamente nella quotidianità e in tutte quelle attività misurabili.

Sono contenta di essere un’opportunità per i bambini e per le loro famiglie nella giusta dimensione, non vorrei mai sostituire i servizi che dovrebbero venire dal sociale, ci troviamo purtroppo spesso a farlo.

L'intervista è stata realizzata da Stefania Bruno e Loredana Stendardo nel mese di aprile 2021 nell'ambito del progetto "Donne e impresa teatrale in Campania"

Guarda il video promo dell’intervista QUI