Stefania Bruno: cooperazione come strategia dell’incontro

Stefania Bruno: cooperazione come strategia dell’incontro

Ho iniziato a studiare teatro quando mi sono trasferita a Napoli alla fine degli anni Novanta. Non avevo mai pensato di farlo prima di quel momento. Amavo la letteratura, volevo scrivere, dirlo ad alta voce ai miei genitori, mentre annunciavo che sarei andata via di casa per studiare, ma anche per fare tutte le esperienze che con loro mi sarebbero state precluse, è stato uno di quegli atti di coraggio che si possono fare solo a diciotto anni. Una volta a Napoli, ovviamente, non sapevo da dove cominciare. Nei primi mesi di università, mentre oscillavo tra i corsi di Storia Medievale e Letteratura Latina (mi immaginavo nella veste di storica e accademica), con la mia prima comitiva di amici ho iniziato ad andare a teatro.

Nella mia vita precedente il teatro era una presenza occasionale, nell’arco di poco tempo ho cominciato ad andarci anche tre volte a settimana. Il primo spettacolo che ho visto è stato La rabbia di Pippo Delbono al Teatro Nuovo, poi gli spettacoli di Enzo Moscato, Libera Scena Ensemble, Teatri Uniti, Rosso Tiziano, Libera Mente, ma anche Robert Lepage, Eimuntas Nekrosius, Dario Fo, Luca Ronconi e per anni sono stata accolta nel Teatro Sancarluccio di Franco Nico e Pina Cipriani come in una seconda casa. Ho inserito nel mio piano di studi tutti i corsi di Storia del Teatro che era possibile seguire e da allora continuo a studiare teatro in vari modi, prima con un Dottorato di Ricerca, adesso mentre lo insegno e lo pratico.

Nel frattempo ho continuato a seguire il mio progetto originario: scrivere. Mi sono formata con Lalineascritta di Antonella Cilento, anche lei incontrata nei miei primi mesi a Napoli, quando eravamo ancora ragazze ma non lo sapevamo, lei che lavorava già tantissimo, io che avevo troppa ansia di dimostrare ai miei genitori che la mia scelta era stata giusta. Dopo molti anni di pratica (l’ansia si ammazza così) e alcuni racconti pubblicati, ho cominciato a insegnare.

Non sapevo bene come conciliare i due mondi che avevo scelto. Ho iniziato a praticare teatro tardi, non mi autorizzavo per troppo amore, ed è successo, ancora una volta, perché ho incontrato delle persone con cui farlo. Gli incontri sono stati sempre decisivi per me, hanno generato trasformazione, creato lo spazio per cose nuove. Quando abbiamo fondato En Kai Pan, nel 2014, non sapevo niente di cooperazione, adesso non riesco a immaginare un modo di fare impresa più adatto a me.

Negli anni in cui mi sono formata e ho cominciato a insegnare, scrittura prima e drammaturgia poi, ho imparato che il lavoro più impegnativo che affrontiamo è tenere in vita e alimentare il nostro processo creativo, impedendo che sogni e progetti siano soffocati da mancanza di spazio, per la paura del confronto ma anche per la noia confortevole dei giorni tutti uguali, dei piatti da lavare e delle bollette da pagare. Con En Kai Pan abbiamo imparato che se volevamo farci riconoscere dovevamo per prima cosa affermare la nostra esistenza e abbiamo lavorato su quello che ci mancava: non avevamo uno spazio per fare teatro, quindi con la nostra attrezzatura abbiamo iniziato ad allestire in chiese, archivi, musei, appartamenti privati, caffetterie, librerie, persino ospedali.

Sotto la guida del regista e pedagogo Luca Gatta, abbiamo iniziato a formare i nostri attori e io ho imparato a scrivere per loro. Abbiamo lavorato con migranti e pazienti psichiatrici, con bambini e anziani. Il nostro lavoro sulla Commedia dell’Arte Contemporanea ci ha portato fino in Cina e, come spesso succede, il momento in cui ci è sembrato di avere raggiunto un obiettivo è coinciso con l’inizio di una fase di trasformazione, in cui abbiamo dovuto imparare a ripensare il nostro lavoro, cominciando dalle ragioni che ci avevano spinto insieme. Avevamo affrontato le difficoltà economiche, le asprezze di un territorio che spesso ti accoglie e ti tradisce nello stesso momento, senza renderci conto di quanto le nostre energie si stessero consumando.

Abbiamo deciso a un certo punto che dovevamo ripartire, questa volta, non da quello che ci mancava, ma da quello che eravamo: donne, tutte formate e con alle spalle un lungo percorso di professionalizzazione, avevamo scelto di fare impresa, cooperazione nello specifico, cultura e teatro. Un bel po’ di cose, in effetti. Ma che cosa ci eravamo messe in testa? Succede così: mentre ti sembra di stare ancora cercando te stessa, ti accorgi che non solo hai già tracciato il corso della tua vita, ma hai pure rotto le scatole a un bel po’ di gente.

Il primo nucleo di Talking about a revolution – La donna nella cooperazione, il progetto che comprende il seminario Donne e impresa teatrale in Campania e il convegno Donne e impresa teatrale, è nato quasi come una boutade nel 2017, quando abbiamo raccontato la storia della fraternal compagnia di Commedia dell’Arte come un primo esempio di cooperativa e la presenza, unica in Italia per secoli, di donne attrici. Questo progetto è diventato il nostro più personale, un modo per recuperare la prospettiva femminile nel racconto del teatro di ricerca, del ruolo della cooperazione teatrale nel sistema culturale italiano, ma anche per raccogliere le esperienze delle donne che lavorano in teatro oggi, per fare emergere le questioni irrisolte e avviare processi di trasformazione, immaginare reti e progetti attraverso lo strumento che, secondo la mia esperienza, è il più potente di tutti: l’incontro.

Stefania Bruno

storica del teatro, drammaturga, organizzatrice teatrale, socia fondatrice di coop En Kai Pan